La paga del sabato, Beppe Fenoglio. Trama e recensione

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La paga del sabato è una delle prime opere dello scrittore piemontese Beppe Fenoglio. Scritto intorno alla fine degli anni ’40, questo lungo racconto, sarà pubblicato solo postumo, nel 1969, grazie al ritrovamento fortuito da parte della scrittrice Maria Corti tra le carte del Fondo Fenoglio.

Trama de La paga del sabato

A pochi mesi dalla fine del conflitto, Ettore, appena ventiduenne, ma che aveva già comandato venti uomini e combattuto come partigiano nella Resistenza, non sa decidersi a trovare un lavoro.

Questa indecisione lo porta a scontrarsi spesso con la madre che ama molto, ma da cui non si sente compreso. Per la madre, Ettore dovrebbe fare un lavoro qualunque pur di portare dei soldi a casa anche se nel lavoro si tratta di portare il calcestruzzo dalla betoniera a dove faceva il bisogno, così tutto il giorno, tutto il giorno avanti e indietro.
Ma Ettore preferirebbe farsi ammazzare pur di non fare un lavoro che non sente suo.

E a nulla servono le raccomandazioni del padre che riesce ad inserirlo alla fabbrica della cioccolata poiché al momento di entrare, rimane nascosto dietro l’orinatoio e osserva gli impiegati e gli operai dirigersi verso il portone.
Da questo momento, prende la decisione di ascoltare i suoi sentimenti scegliendo per sé cosa fare della propria vita.

Si rivolge a Bianco, anche lui un ex partigiano che ora è a capo di una piccola banda con cui, dopo il conflitto, ha intrapreso una guerriglia privata contro chi aveva seguito il pensiero del regime fascista.

La paga del sabato, Beppe Fenoglio
La paga del sabato, Beppe Fenoglio. Illustrazione di Marta Bianchi

Incomincia così per Ettore la vita del bandito con la speranza di poter continuare a perseguire i suoi ideali, sognando un cambiamento della società.
La stessa società che lo vorrebbe relegato all’interno di una fabbrica che ha le sembianze di una prigione, dove i dipendenti sono chiusi fra quattro mura per le otto migliori ore del giorno, tutti i giorni. … Che dovevano chiedere permesso per andare a casa a veder morire loro padre o partorire loro moglie.

Ben presto però, Ettore si accorge che la motivazione che spinge Bianco a fare il bandito risulterà solo un alibi per commettere degli atti criminali.

Qui trovi l’estratto del libro!

Perché leggere La paga del sabato di Beppe Fenoglio

La paga del sabato, è stato definito dallo scrittore Antonio Pennacchi, durante il suo incontro al Salone del Libro 2016 di Torinoun lavoro di pancia, come per Il Partigiano Jonny e I ventitré giorni della città di Alba. Scritti con la consapevolezza delle cose vissute.

La prima impressione mentre lo si legge può essere quella di un romanzo ancorato al suo tempo poiché lo stato d’animo dei personaggi non è facilmente comprensibile. I protagonisti sono figli della loro epoca per la loro visione della vita, le parole pronunciate e i ruoli ben definiti all’interno della famiglia.

Quello che non cambia è il coraggio e la volontà di non arrendersi a una situazione imposta, a una società che non ti permette di essere te stesso.
Dal punto di vista dei sentimenti penso che in tanti si ritrovino nella descrizione di certe situazioni psicologiche narrate ne La paga del sabato e sopratutto nella figura di Ettore, in quel senso di ribellione che lo tiene vivo e che ci può salvare dall’annichilimento.

È proprio partendo dal rapporto con i genitori che Ettore continua la battaglia per la propria sopravvivenza poiché, i genitori cercano di trascinarlo nella loro ordinarietà e banalità che lui non riesce ad accettare. Si sente stretto in questo mondo di valori quali la grettezza, la meschinità, l’egoismo e il benessere personale che sono le stesse doti morali che hanno condotto l’Italia allo sfacelo.

La paga del sabato, Beppe Fenoglio
Beppe Fenoglio. Foto Aldo Agnelli, coll. Centro Studi Beppe Fenoglio. https://www.facebook.com/Centro-studi-Beppe-Fenoglio.

I genitori di Ettore non riescono ad immedesimarsi nella sua realtà interiore, nella sua visione della vita e per questo non si sente compreso. Per lui, gli operai che entrano alla fabbrica della cioccolata, sono un gruppo di schiavi infatti, mentre li osserva entrare, capisce che non sarà e non vorrà mai essere uno di loro.
È intollerabile anche solo pensare di dover lavorare per un pugno di soldi sottostando a persone per cui qualche mese prima aveva combattuto contro.

Ettore, come Bianco e Palmo, ha preso parte alla lotta partigiana per la Resistenza Italiana perché aveva degli ideali, ci credeva e ha rischiato la vita per un mondo diverso, ma finita la guerra, Ettore vive la disillusione poiché la realtà per cui ha combattuto insieme ai partigiani non si è realizzata e il sentimento che lo rende inquieto è il dissidio tra mondo ideale e materiale.

Per questo Ettore pensa: Io non sono adatto a questa vita perché per poterla vivere dovrebbe fingere, fare finta che le speranze riposte nella Lotta partigiana non siano state vane ma soprattutto tradite.

Tradite sia da chi ha gestito il potere in apparenza democratico permettendo a chi aveva appoggiato il fascismo di continuare a ricoprire ruoli all’interno dell’amministrazione dello Stato, sia da chi, come Bianco, intraprende la propria personale battaglia finendo per assumere gli stessi atteggiamenti delle persone verso cui commetteva atti criminali.


Sguardi

Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana

8 settembre 1943 – 25 aprile 1945

Questa importante raccolta di Lettere è a cura di Piero Malvezzi e Giovanni Pirelli con una nota introduttiva di Gustavo Zagrebelsky e una prefazione di Enzo Enriques Agnoletti.

Armando Amprino
Dal carcere, 22 dicembre 1944

Carissimi genitori, parenti e amici tutti,
devo comunicarvi una brutta notizia. Io e Candido, tutt’e due, siamo stati condannati a morte. Fatevi coraggio, noi siamo innocenti. Ci hanno condannati solo perché siamo partigiani.
Io sono sempre vicino a voi.
Dopo tante vitacce, in montagna, dover morir così…

Segue nel libro…

Antonio Fossati
(dall’archivio di Milano del Corpo Volontari Libertà).

Carissima Anna,
eccomi a te con questo mio ultimo scritto prima di partire per la mia condanna. Io muoio contento di aver fatto il mio dovere di Vero Patriota. Mia cara sii forte che dal cielo pregherò per te, che tu per me sei sempre stata l’unica consolazione in questi momenti di grande dolore mi confortavo solo con te.

Quando tu venivi mi sembrava che la mia vita veniva più bella, mi sentivo più sollevato sentivo sorpassare davanti. Ti ricordi Anna che da quel giorno che mi hai visto piangere anche tu ti sono scesi le grosse lacrime dagli occhi mia piccola e cara Anna i tuoi capelli hanno asciugato quelle lacrime dai miei occhi.

Cara ora ti racconto un po’ della mia vita e incomincio subito <<il giorno 27 fui preso portato a Vercelli in prigione dove passai senza interrogazione. Il mattino del 29 fui chiamato davanti a tutti i fascisti di Vercelli. Io non ho risposto mai alle loro domande le sole parole erano queste “che non so niente e che non sono partigiano”.
Ma loro mi hanno messo davanti mille cose per farmi dire di sì ma non usciva parola dalla mia bocca e pensando che dovevo morire. Il giorno 31 mi fu fatto la prima tortura ed è questo mi hanno strappato le ciglia e le sopraciglia. Il giorno 1 la seconda tortura “mi hanno strappato le unghie, le unghie delle mani e dei piedi e mi hanno messo al sole che non puoi immaginare…

Segue nel libro…

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