In un futuro neanche troppo lontano l’umanità continua a lottare con se stessa, e la Terra è ormai un cumulo di macerie. Chi può se ne sta alla larga, mentre chi ci è costretto si ritrova in prima linea a combattere e a sopravvivere. È questo il destino di tutta la specie? Esistono alternative allo stare all’interno di un’esotuta?
Esotute, intelligenze artificiali e masse attuatrici
La guerra è un brutto affare, specialmente se sei in prima linea. Questo in tutte le epoche della storia e anche quando sei all’interno di una futuristica esotuta di acciaio, nanocarbonio e policeramica. Perché in realtà non sei al sicuro per niente quando lì fuori è tutto contaminato, quando piovono bombe EMP come se fosse la cosa più naturale del mondo e gli “armadilli” nemici sono in agguato e vogliono farti saltare in aria appena ne avranno la possibilità.
Sul campo di battaglia c’è anche CA, il Controllore Ausiliario 209, la biomassa effettrice di un carro armato bipede. Nei momenti d’azione però è solo uno dei tanti Fleshy, un semplice passeggero di carne, perché il suo corpo, e la macchina che lo circonda, vengono telecomandati dallo spazio. Il suo vero ruolo? Essere il capro espiatorio nel caso in cui ci fosse da addossare una qualche colpa. Un lavoro ingrato, ma pagato quel tanto che basta per essere accettabile, specialmente se non si hanno molte alternative. Specialmente dopo il tentativo fallito di CA di far parte del Nexus, la spedizione interstellare che vuole dare nuovo futuro all’umanità in un altro sistema solare.
All’interno claustrofobico dell’esotuta i comuni terrestri sarebbero difficoltà, ma per CA è la normalità perché è uno spazionoide abituato agli spazi angusti e alla vita solitaria. A lui bastano i momenti di svago nella realtà virtuale, dove può essere ovunque e vivere come più gli aggrada, a curare le sue gardenie virtuali. E quando invece è costretto a confrontarsi con la dura realtà c’è Combo, un’istanza personalizzata dell’intelligenza artificiale Combinatron 8000, che lo assiste, gestisce per lui gli automatismi, fa da commilitone e all’occorrenza anche da amico.
Dopo una serie di vicissitudini fa la sua comparsa anche Ambrose, che CA pensa essere un’allucinazione o una IA fallata, che si gli si manifesta nella forma di enorme rosa. Ambrose è un personaggio bizzarro e cambia notevolmente la vita rassegnata di CA. Lo porterà a rivedere la sua esistenza e il suo ruolo nell’ordine delle cose.
Ambrose, in viaggio tra le stelle dell’anima
Ho cominciato a leggere Ambrose senza sapere nulla né del romanzo né dell’autore, un vero salto nel buio. Dopo lo scoppiettante prologo, una scena d’azione che faceva presagire un certo tipo di racconto, la narrazione ha cominciato a rallentare e mi sono ritrovato in mezzo alle gardenie di CA e in mezzo ad una tribuna politica gestita da dei nanetti da giardino, o almeno così ho finito per immaginarli. Pagina dopo pagina è diventato sempre più evidente che Ambrose non sarebbe stato un viaggio tra le stelle o un avventura a bordo di un mecha, ma un viaggio all’interno della psiche del protagonista, tra i suoi dubbi, le sue ansie e il suo desiderio di lasciare un segno nella storia o almeno di dare un contributo alla creazione di una nuova umanità.
Non è uno dei classici temi fantascientifici quella dell’analisi introspettiva, ma non per questo è meno interessante. Per certi versi, ad un certo punto, la tematica esposta mi sembrava molto simile a quella di Neon Genesis Evangelion. E a pensarci bene l’accostamento non è così azzardato dato che si parla di mondo post-apocalittico, di mecha senzienti e del rapporto dell’uomo con delle entità che sarebbero definibili come sovrannaturali. Per fortuna CA non è quella lagna di Shinji Ikari, ma sono accomunati dal fatto di essere degli antieroi. Non saprei proprio dire se l’autore si sia fatto realmente ispirare da Evangelion, ma ha sicuramente ideato qualcosa di diverso dal solito.
Una caratteristica distintiva della scrittura di Fabio Carta è un registro linguistico particolarmente aulico. La scelta delle parole, la costruzione delle frasi, risulta evidente che l’autore ci sappia fare con le parole e con questa certezza è più facile dare fiducia e proseguire la lettura anche quando sembra che gli eventi si stiano prendendo più spazio del necessario, perdendosi un po’ tra ragionamenti e descrizioni.
Si arriva al punto che in certi momenti Fabio Carta sembra quasi volerci stupire con alcune frasi ad effetto. Per esempio…
Tanto piacere, signor copione: io sono Ambrose e non sono un’allucinazione, casomai una coscienza emergenziale connessa a un vago processo olistico e autopoietico in una subroutine quantomeccanica imprevista.
È appunto principalmente il personaggio di Ambrose a giocare in modo particolare con le parole, un po’ per prendere in giro il povero CA, un po’ per mettere alla prova il lettore. Una situazione un po’ strana per un racconto di fantascienza in cui in genere il linguaggio è piuttosto immediato, ma Ambrose è fantascienza un po’ atipica.
E arriviamo al punto cruciale. Vale la pena leggere Ambrose? La risposta è sì. Anche se probabilmente è un po’ più lungo del necessario e a volte ci costringe a rileggere un passaggio particolarmente complesso, rimane un romanzo in grado di lasciarci qualcosa. Ambrose ha infatti la forza di farci nascere dentro delle domande, potenti ed eterne, a cui poi dare delle risposte.