Se questo è un uomo, Primo Levi

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

La poesia è stata scritta dall’autore prima della stesura del libro, incominciata nel dicembre del 1945 e ultimata nel gennaio del 1947 a Torino, dove Levi è nato e ha vissuto sino alla morte, avvenuta l’undici aprile del 1987.
Se questo è un uomo è un memoriale che Primo Levi ha incominciato a scrivere nel suo intimo già fin dai giorni di Lager per il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri” partecipi.
Primo Levi scrive questo libro per soddisfare questo bisogno di raccontare, a pochi mesi dal suo ritorno, i ricordi che gli bruciavano dentro.

Primo Levi in Se questo è un uomo, il giorno prima della liberazione dai campi di concentramento

26 gennaio 1945

Noi giacevamo in un mondo di morti e di larve. L’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento dai tedeschi disfatti.

È uomo chi uccide, è uomo chi fa e subisce ingiustizia; non è uomo chi, perso ogni ritegno, divide il letto con un cadavere. Chi ha atteso che il suo vicino finisse di morire  per toglierli un quarto di pane, è, pur senza sua colpa, più lontano dal modello dell’uomo pensante, che il rozzo pigmeo e il sadico più atroce.

Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo. Noi tre ne fummo in gran parte immuni, e ce ne dobbiamo mutua gratitudine; perciò la mia amicizia con Charles resisterà al tempo.

Ma a migliaia di metri sopra di noi, negli squarci fra le nuvole grigie, si svolgevano i complicati miracoli dei duelli aerei. Sopra di noi, nudi impotenti inermi, uomini del nostro tempo cercavano la reciproca morte coi più raffinati strumenti. Un loro gesto del dito poteva provocare la distruzione del campo intero, annientare migliaia di uomini; mentre la somma di tutte le nostre energie e volontà non sarebbe bastata a prolungare di un minuto la vita di uno solo di noi.
La sarabanda cessò a notte e la camera fu di nuovo piena del monologo di Somogyi.

In piena oscurità mi trovai sveglio di soprassalto. “L’pauv’ vieux” (il povero vecchio) taceva: aveva finito. Con l’ultimo sussulto di vita si era buttato a terra dalla cuccetta: ho udito l’urto delle ginocchia, delle anche, della spalle e del capo.
La mort l’a chassé de son lit (la morte lo ha cacciato dal letto), definì Arthur. Non potevamo certo portarlo fuori nella notte. Non ci restava che riaddormentarci. …

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *