A Torino esiste una storica istituzione chiamata Università Popolare che permette ai cittadini di questa città di imparare cose nuove seguendo uno dei tanti corsi a disposizione. Malgrado il costo relativamente basso i corsi sono quasi sempre tenuti da importanti professionisti e quest’anno ho deciso di seguire, oltre ad un corso di inglese, il corso di Psicologia Criminale ed Investigativa tenuto dal Dr. Fabrizio Russo, Criminologo e Psicoterapeuta. In questo modo ho imparato molte cose sulla psicologia delle persone e dei criminali.
Inoltre, verso la fine del corso, il professore ci segnalò che avrebbe aiutato a presentare il libro di un suo ex allievo degli anni precedenti al Salone Internazionale del Libro di Torino 2016 e ovviamente ho partecipato all’evento!
La presentazione era intitolata “Crimini violenti: tra fiction e realtà” e oltre al Dr. Russo erano presenti il Dr. Elvezio Pirfo, psichiatra forense e il Dr. Roberto Testi, medico legale. I tre hanno così raccontato alcuni aneddoti del loro, spesso complicato, lavoro, mettendoli in relazione con quello che in effetti era il vero argomento dell’evento: la presentazione de Le molliche del commissario, romanzo d’esordio di Carlo F. De Filippis, autore con cui ho anche avuto il piacere di conversare e che ho risentito un paio di mesi più tardi per questa intervista.
Trama de Le molliche del commissario
Il protagonista de Le Molliche del commissario è Salvatore Vivacqua, commissario di Polizia e capo della Omicidi. Siciliano trapiantato a Torino, ha quasi cinquantuno anni e l’orecchio sinistro tranciato da un colpo di pistola.
Non è facile stare così vicini alla morte e sostenere il confronto. Serve un bagaglio leggero, privo di coinvolgimento emotivo, spoglio di risentimento, di retorica; devi vedere un cadavere, mai un essere umano. Niente puzza di urina, di feci. Niente. L’uomo non c’è più.
A Vivacqua quell’esercizio riusciva malissimo.
Il corpo di Don Riccardo giaceva nel suo liquido vitale accanto al confessionale nella chiesa della Santissima Trinità, con il volto sfigurato e una mano quasi staccata quando il commissario Vivacqua vi si reca d’urgenza.
Chi può aver massacrato in questo modo l’anziano parroco che viveva per aiutare gli altri?
A detta di monsignor Acutis, Don Riccardo non aveva nemici e il folle gesto non può che essere stato commesso da un pazzo. Un pazzo se è lucido non fa molliche, è l’assassino peggiore si dice Vivacqua. Eppure, cu mancia fa muddiche! Dove ha lasciato le sue tracce l’assassino?
Il giorno successivo viene scoperto un altro omicidio, ad occuparsene è il suo vice Santandrea, detto il Giraffone; questa volta si tratta di una donna, una ricca musicista è stata strangolata nel suo appartamento dove riceveva molte persone.
Dalle prime ipotesi la causa della morte parrebbe essere per asfissia erotica.
Dopo numerosi interrogatori serrati, tra l’omertà della curia e delle persone apparentemente coinvolte, l’assassinio di Don Riccardo e della signora Petrini si scoprono essere dei pezzi di un unico grande puzzle dai contorni oscuri che ci conduce nei meandri più torbidi dell’animo umano.
Spetterà al commissario Vivacqua insieme alla sua squadra, indagare per mettere insieme i pezzi del mosaico e risolvere il rompicapo.
Con Le molliche del commissario, De Filippis ci regala una figura di commissario tenace e comprensivo in parte, come lo definisce l’autore stesso, dai metodi poco ortodossi e dalla grande intelligenza. Divertente per il suo senso dell’umorismo tipico dei siciliani, e una grande umanità.
Qui trovi l’estratto del libro!
Conversando con l’autore
Evelina Murgia Com’è nata l’idea de Le molliche del commissario?
Carlo F. De Filippis Dunque: l’idea de Le molliche del commissario è nata una decina d’anni fa leggendo un vecchio libro di Simenon (I fantasmi del cappellaio). In quel romanzo compare uno dei primissimi Serial killer della letteratura.
Nella trama un particolare mi ha particolarmente incuriosito – non dico di più altrimenti rovino la lettura di chi volesse mettere mani sulle molliche – e mi sono domandato come lo avrebbe fatto oggi Simenon.
È ovvio che c’è un po’ di gioco nel paragone con Simenon, gli amanti del grande non mi prendano troppo sul serio. A ogni modo è così che mi sono venute in mente Le molliche del commissario.
E. M. Le molliche del commissario è il tuo esordio da giallista eppure, dal tuo modo di scrivere si evince che sei una persona che ha sempre scritto. Come mai ha deciso di scrivere un giallo?
C. F. D. F. È vero, le molliche sono un esordio, ma dietro ci sono molti anni di “allenamento”. Circa una quindicina. No, di più. Scrivo gialli perché – tra il serio e il faceto – credo sia il genere più intrigante, per chi lo scrive e per chi lo legge. Oppure, ancora tra serio e faceto, perché scrivere di narrativa (adatta ai miei gusti) chiede qualità altissime, di stile, di voce, di costruzione della vicenda, di…
Il giallo di solito non pretende asticelle particolarmente alte. Tuttavia scrivere in buon italiano, appassionare il lettore, divertire e intrattenere non sono faccende semplici.
A me piace il giallo perché trovo divertente mettere il lettore al fianco del protagonista come investigatore aggiunto, mi piace pensare che cerchi di trovare la soluzione prima del mio commissario, che resti sorpreso, alla fine, se tutto il mio intrigo ha fatto bene il suo mestiere, quando scoprirà che la soluzione è diversa da come l’aveva immaginata, e chiudendo il libro faccia un sorriso.
Magari in attesa del prossimo.
E. M. Durante la stesura ti sei rivolto a qualcuno per la caratterizzazione del commissario Vivacqua e degli altri personaggi?
C. F. D. F. No, nessun aiuto, scherzi? Il lato divertente – tra gli altri – è disegnare i personaggi, farli muovere, dargli vita, dopo un po’ cominceranno a muoversi da soli e qualche volta in modo inatteso. Tanto inatteso che talvolta la trama è molto nelle loro mani, e un po’ meno nelle mie.
E. M. Al Salone del Libro di Torino si è parlato di Camilleri e Simenon da chi ti sei fatto ispirare maggiormente?
C. F. D. F. Scrivere gialli con un protagonista siciliano ti mette per forza nella scia di Camilleri. Così come un certo tipo di commissario (come il mio Vivacqua) lascia pensare a Simenon e sul secondo ci sono molte più somiglianze, benché, lo stesso Montalbano deve moltissimo a Maigret.
Nel mio modo di costruire un giallo ci sono, inevitabilmente, le influenze dei giallisti che ho amato di più, la Christie, Chandler, Simenon, Winslow, Fruttero e Lucentini…
Tutta gente che sapeva come si tiene il lettore attaccato al romanzo.
Perché leggere Le molliche del commissario di Carlo F. De Filippis
Come detto prima alla fine della presentazione del giallo al Salone del Libro ho avuto la possibilità di chiacchierare per qualche minuto con l’autore. Scoprii così che si era ispirato a un romanzo di Simenon e, essendo io stessa un’appassionata di libri gialli, gli chiesi qual era il libro in questione. Quando mi disse “I fantasmi del cappellaio” rimasi sorpresa perché lo avevo letto e ne ero rimasta impressionata, oltretutto avevo anche visto il film diretto dal regista francese Claude Chabrol.
Ho quindi cominciato a leggere Le molliche del Commissario immaginando di trovarci un qualcosa di conosciuto o addirittura di prevedibile, ma non è stato così e anzi mi sono ritrovata a seguire le vicende di Vivacqua e della sua squadra con grande interesse.
L’intreccio del giallo è interessante e l’incastro degli eventi apparentemente scollegati è avvincente.
Inoltre, Carlo De Filippis ha reso i suoi personaggi realistici, finendo per renderli memorabili per il loro modo d’essere e, anche grazie agli ottimi dialoghi.
Spero quindi di poter leggere presto il seguito delle vicende del commissario Vivacqua e della sua squadra, sono sicura che sarà piacevole almeno come questo esordio.